POESIE E FIABE


Fata,sui monti e vallate
fra i pruni e le fronde,
su parchi e steccate,
per fiamme, per onde,
vago ognor, più che la sfera
della luna, a vol leggiera;
per servir la reginetta,
colla guazza, fra l’erbetta,
i suoi cerchi d’orme irroro.
Scortan lei, in assise d’oro,...

della primula i fiorellini;
le lor chiazze son rubini,
sono efelidi odorate,
cari doni delle fate.
Le stille di rugiada ho da cercare,
le orecchie delle primule a imperlare.
Addio, sguaiato spirito, vo via:
viene con gli elfi la regina mia

- Shakespeare “Sogno di una notte di mezza estate” -


...Elfi fatati
Ai cui balli notturni presso un bosco
O ad una fonte assiste il contadino stupito,
O forse sogna, mentre sopra di lui la luna
E' arbitra e alla terra avvicina
il suo diafano corso.
(Milton)

"Il regno segreto non ha mai smesso di esistere...
siamo noi che non abbiamo più occhi per vederlo
e mente per capirlo.
Loro però ci sono, e con i loro incantesimi
e magie vengono a turbare l'ordine quotidiano
della nostra vita."
(da Fiabe Celtiche)


Se vedi una notte stellata
e la luna di luce ti mostra la strada...
aspetta in silenzio seduto e
trattieni il respiro per qualche minuto.

Soltanto il tuo cuore 
può fare rumore, 
per farsi da loro sentire e tutti insieme poterne gioire.

In fila camminan tutti,
gnomi, fate e folletti
e nella radura saltellando sono diretti.

Ricorda umano...
solo una volta di veder ti è stato dato
Conserva il ricordo
anche quando sarà datato.
(M.T.


Dialogo di un folletto e di uno gnomo Giacomo Leopardi

In un mondo ormai deserto, uno Gnomo, abitante nelle profondità della Terra, è inviato alla ricerca di indizi sulla cause della scomparsa del genere umano. Arrivato in superficie incontra un Folletto, spirito dell'aria, col quale intrattiene un breve discorso su cosa è accaduto e come continuerà l'esistenza.
Lo Gnomo è preoccupato per la sorte degli uomini, da molto tempo non scavano più per cercare tesori nascosti nelle profondità della terra, la loro scomparsa fa temere radicali cambiamenti di vita, come per esempio l'impossibilità di misurare il tempo. Il Folletto, dopo aver ricordato che la vita segue dei ritmi indipendenti da ogni misurazione, racconta come si sono estinti:
« Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l'un l'altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell'ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male. »
Entrambi concordano sul fatto che l'uomo non sia il centro dell'universo e che «la terra non sente che le manchi nulla», così la natura perpetua il suo ciclo inesorabilmente: «i fiumi non sono stanchi di correre», dice il Folletto e «i pianeti non mancano di nascere e di tramontare», prosegue lo Gnomo.
L'operetta sembra riprendere dove si era interrotto il Dialogo d'Ercole e di Atlante, fornendo una spiegazione razionale all'immagine di una terra tristemente silenziosa. Il favoloso dialogo, che nel finale vedrà le posizioni dei due interlocutori sullo stesso piano, tanto da potersi leggere come un unico discorso, è condito da riferimenti classici più o meno espliciti: si va dalle leggi di Licurgo, alla tragedia burlesca del Valerasso, alla morte di Cesare.


¸.•´¸.•*´¨) ¸.•*¨)
(¸.•´ (¸.•` ¤ Credo mezzelfico


« Credo che tutta la natura sia popolata di esseri invisibili,
alcuni dei quali sono brutti e grotteschi, altri malvagi e sciocchi,
molti di essi belli, ben al di sopra di qualunque bellezza abbiamo
mai veduto, e che quelli belli, non siano troppo distanti
quando passeggiamo per luoghi ameni imperturbati.

Anche quand' ero ragazzo non potevo mai
passeggiare in un bosco senza avvertire che sempre,
a ogni istante, avrei potuto trovarmi di fronte
qualcuno o qualcosa che avevo cercato a lungo senza
saperlo chiaramente.

E ora esploro a volte ogni piccolo anfratto
di qualche misera boscaglia con passo quasi ansioso, tanto è profonda l'influenza
di questa immaginazione su di me.

Anche voi, senza dubbio,
vi imbatterete in un'immaginazione simile
da qualche parte ovunque le stelle
che ci governano decidano di attirarvi,
sia Saturno che vi giuda ai boschi,
o la Luna,forse, sull'orlo del mare.

Io non vorrò credere mai con ferma sicurezza
che non vi sia nulla nel tramonto,
ove i nostri progenitori immaginavano le schiere dei morti seguire il sole,
o nient'altro che una vaga presenza destinata
a commuoverci poco o nulla »
~ William Butler Yeats ~ 

CALYPSO

E il mare azzurro che l’amò, più oltre
spinse Odisseo, per nove giorni e notti,
e lo sospinse all’isola lontana,
alla spelonca, cui fioriva all’orlo
carica d’uve la pampinea vite.
fosca intorno le crescea la selva
ontani e d’odoriferi cipressi;
e falchi e gufi e garrule cornacchie
v’aveano il nido. E non dei vivi alcuno,
né dio né uomo, vi poneva il piede.
Or tra le foglie della selva i falchi
battean le rumorose ale, e dai buchi
soffiavano, dei vecchi alberi, i gufi,
e dai rami le garrule cornacchie
garrian di cosa che avvenia nel mare.
Ed ella che tessea dentro cantando,
presso la vampa d’olezzante cedro,
stupì, frastuono udendo nella selva,
e in cuore disse: – Ahimè, ch’udii la voce
delle cornacchie e il rifiatar dei gufi!
E tra le dense foglie aliano i falchi.
Non forse hanno veduto a fior dell’onda
un qualche dio, che come un grande smergo
viene sui gorghi sterili del mare?
O muove già senz’orma come il vento,
sui prati molli di viola e d’appio?Ma mi sia lungi dall’orecchio il detto!
In odio hanno gli dei la solitaria
Nasconditrice. E ben lo so, da quando
l’uomo che amavo, rimandai sul mare
al suo dolore. O che vedete, o gufi
dagli occhi tondi, e garrule cornacchie? –
Ed ecco usciva con la spola in mano,
d’oro, e guardò. Giaceva in terra, fuori
del mare, al piè della spelonca, un uomo,
sommosso ancor dall’ultima onda: e il bianco
capo accennava di saper quell’antro,
tremando un poco; e sopra l’uomo un tralcio
pendea con lunghi grappoli dell’uve.
Era Odisseo: lo riportava il mare
alla sua dea: lo riportava morto
alla Nasconditrice solitaria,
all’isola deserta che frondeggia
nell’ombelico dell’eterno mare.
Nudo tornava chi rigò di pianto
le vesti eterne che la dea gli dava;
bianco e tremante nella morte ancora,
chi l’immortale gioventù non volle.
Ed ella avvolse l’uomo nella nube
dei suoi capelli; ed ululò sul flutto
sterile, dove non l’udia nessuno:
Non esser mai! non esser mai! più nulla,
ma meno morte, che non esser più!

G.Pascoli

« Uscite da' vostri alberi, o pietose Amadriadi, sollicite conservatrici di quelli, e parate un poco mente al fiero supplicio che le mie mani testé mi apparecchiano. E voi, o Driadi, formosissime donzelle de le alte selve, le quali non una volta ma mille hanno i nostri pastori a prima sera vedute in cerchio danzare all'ombra de le fredde noci, con li capelli biondissimi e lunghi pendenti dietro le bianche spalle, fate, vi prego, se non sète insieme con la mia poco stabile fortuna mutate, che la mia morte fra queste ombre non si taccia, ma sempre si estenda più di giorno in giorno ne li futuri secoli, acciò che quel tempo il quale da la vita si manca, a la fama si supplisca. »
(Iacopo Sannazaro, Arcadia)

"Qui nella montagna boscosa
dove dimorano gli spiriti della campagna e le fate
di rado scorte da occhio mortale,
uomini,rispettate i nostri luoghi incantati,
i cespugli non calpestate
e ai fiori badate;
un dolce cammino troverete
e in un comodo giaciglio riposerete,
ma male incolga l'umano svagato
che le nostre sacre dimore ha profanato.
William Shenstone

LE FATE
*Italo Calvino*

IL PRIMO ATTRIBUTO È LA LEGGEREZZA.
VIVONO SOTTOTERRA, IN PONTICELLI TRAFORATI
DA CUNICOLI E FENDITURE, MA ALLE VOLTE SONO
PORTATI IN ALTO, VOLANDO A MEZZ`ARIA.

LA LORO APPARENZA E FORSE LA LORO STESSA
PRESENZA È DISCONTINUA; SOLO CHI
È DOTATO DI UNA SECONDA VISTA LI PUÒ
PERCEPIRE, E SEMPRE PER BREVI ISTANTI
PERCHÈ APPAIONO E SCOMPAIONO...

HANNO MOMENTI DI TRIPUDIO
E IRREQUIETEZZA, MA IL LORO UMORE
PIÙ FREQUENTE È LA MELANCONIA,
CHE ESPRIMONO CON IL CANTO.







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